Oltre a quella della sua luminosità, un’altra sorpresa per chi entra nella sala centrale di questa casa è che tutte le sue pareti e le sue volte sono affrescate. È una sorpresa che si accresce quando ci si rende conto che sono affrescate anche le stanze dei due appartamenti posti ai suoi lati.
La realizzazione di un ciclo decorativo di questa portata è una operazione che non è voluta da Palladio. Il medium della pittura è infatti così suggestivo e accattivante che quasi per forza distrae l’attenzione dalla architettura. Quello che Palladio aveva inizialmente ammesso in questa casa è solo la decorazione delle pareti della sala centrale. Infatti loda le “eccellentissime pitture” dipinte da Battista Zelotti entro una virtuale partitura architettonica scandita da colonne scanalate di ordine ionico. Con questo suo apprezzamento Palladio si riferisce principalmente alla figurazione delle Arti: la Letteratura, con un libro in mano, e la Guerra (Bellona), che ha un elmo sul capo, che possiamo ammirare sopra le porte che danno accesso alle stanze grandi; la Musica e l’Astronomia, la prima con una viola, la seconda con un sestante, sopra le porte che danno accesso alle stanze quadre; la Geometria, raffigurata mentre traccia dei segni su una tavola e l’Aritmetica con la squadra in mano, sopra quelle che danno accesso alle stanze piccole.

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Il ciclo decorativo che vediamo dispiegato su tutte le pareti e le volte delle stanze e della sala non è stato eseguito in una sola fase. Al contrario, il suo completamento è avvenuto in tempi diversi, anche abbastanza distanziati l’uno dell’altro, talché esso ha assunto quasi il carattere di un apparato figurativo che consente di ricordare momenti della vita familiare che si sono succeduti in questa casa in poco meno di un ventennio, cioè dal 1558 al 1575.
La decorazione delle stanze viene infatti avviata da Alvise, quello dei due fratelli che non era sposato. Questi convoca un pittore molto celebrato, Battista Franco che era ingaggiato allora in Palazzo Ducale. Il programma di decorazione avviato nella stanza grande di levante (quella di Prometeo – sulla sinistra entrando dal portico) non giunge però al suo compimento per la morte del pittore, nel 1561. Battista Franco non riesce quindi nemmeno a realizzare la decorazione della stanza quadrata che si vede dopo aver attraversato la sala di Prometeo. In questa stanza Alvise aveva programmato di realizzare un tema iconografico, la Caduta del Giganti, che Giulio Romano aveva già raffigurato in una stanza quadrata del grandioso palazzo sub-urbano, detto Palazzo Te, eretto dai Gonzaga, poco lungi da Mantova.
La decorazione delle altre stanze – quella dedicata a Bacco dio del vino; quella dedicata ad Aurora – vuole sottolineare il ruolo di centro direzionale di un’azienda agricola della casa e viene ripresa da Alvise quando questi – alla morte del fratello maggiore Nicolò – decide di sposarsi per dare discendenza al ramo ducale della famiglia.
La scelta dei temi iconografici che nella prima fase della decorazione erano tutti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, diventa a questo punto più varia. Alvise non esita infatti a scegliere temi che hanno quasi solo una valenza autobiografica.
Terminata la decorazione delle stanze piccole con il contributo di Bernardino India (che a quell’epoca è il pittore più accreditato per la decorazione a grottesche – una decorazione per la quale gli artisti rinascimentali traggono ispirazione da quelle ritrovate durante gli scavi della Domus Aurea di Nerone) l’unica superficie del piano nobile che non fosse ancora dipinta a fresco era quella delle volte della sala centrale, alla quale conviene dunque portare nuovamente la nostra attenzione.
Il pretesto per affrontare la decorazione di queste volte è stata la venuta entro le mura di questa casa del re di Polonia Enrico III di Valois che a Venezia, ove era giunto nel 1574, era stato ospitato in Ca’ Foscari, la dimora veneziana di Alvise che è ora la sede della Università di Venezia. La raffigurazione della cena frugale che con generosità Filemone e Bauci offrono a Giove, re degli dei – la vediamo dipinta sopra la gran porta che dà accesso a questa sala – intende evocare quindi l’ospitalità che Alvise ed Elisabetta Loredan, sua consorte, hanno offerto al re di Polonia prima a Venezia, poi accogliendoli in questa casa rivierasca, assunta come prima tappa del viaggio trionfale che lo condurrà da Venezia a Parigi per ricevere sul suo capo la corona di re di Francia.
L’ultima fatica di Battista Zelotti, il pittore che in questa architettura è ormai di casa da quasi vent’anni, è la decorazione delle volte della sala centrale sulla quale sono raffigurate campiture che riprendono gli schemi di quelle dei nuovi soffitti del Palazzo Ducale. Entro queste campiture è raffigurata la vicenda di Astrea, la dea virtuosa che per ultima sale all’Olimpo, lasciandosi alle spalle un mondo in cui dilagano ormai vizi ed egoismi. E nell’Olimpo si congiunge con la madre Teti, la dea delle leggi eterne, che appare solennemente assisa nell’ottagono centrale.
Se tutti questi affreschi non hanno quei colori vivaci e intensi che avevano quando furono dipinti è perché hanno subito, tutti, una serie di “strappi” non appena la casa fu lasciata dai Foscari, nel secondo decennio dell’Ottocento. Terminato questo vero e proprio saccheggio, tutte le pareti sono state ricoperte da uno scialbo di calce. La rimozione di questo strato di calce e il restauro di quanto degli affreschi originari è rimasto è frutto di un lavoro paziente di recupero che si è concluso solo negli anni Settanta del secolo scorso. Il risultato di questo lavoro è suggestivo perché non impedisce il godimento della pittura, e riduce quel conflitto fra i due media – l’architettura e la pittura – che Palladio cercava di evitare entro le sue architetture.